Spazio Psichico - articolo http://spaziopsichico.it/articoli it Giornalismo e arti marziali, sensazionalismo e stereotipi http://spaziopsichico.it/Giornalismo-e-arti-marziali-sensazionalismo-e-stereotipi <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><h3> La strumentalizzazione mediatica dell’incontro tra bambini svoltosi in Inghilterra che ha causato accese polemiche. Parla il Maestro Claudio Alberton: è stata deliberatamente creata una notizia shock.</h3> <p> Il 23 settembre alcuni quotidiani e alcuni servizi facilmente recuperabili in internet hanno parlato di un evento dalle sembianze atroci che vede come protagonisti dei minori: sembrava che dei bambini fossero statati costretti a lottare in una gabbia come i cani dei combattimenti clandestini. Questo accadeva in Inghilterra il 22 settembre dinanzi un vasto pubblico di incitanti adulti. Agghiacciante? La realtà forse è molto meno… glaciale di come l’hanno descritta i media, e valutati meglio i fatti ci si può forse accorgere che l'unica cosa davvero agghiacciante è il modo in cui è stato riportato questo evento, perché di un evento si trattava, un evento sportivo come tanti altri. I bambini verso i quali molti avranno provato pena in realtà sono piccoli marzialisti, per nulla obbligati a combattere, hanno semplicemente partecipato a un incontro di apertura di un evento (e chissà, magari poi tutti a nanna). Oltretutto il match incriminato non ha visto perdenti, solo vincitori: la giuria a fine incontro ha deciso (probabilmente l'avevano già deciso prima) di alzare il braccio della vittoria di entrambi i ragazzini e di dare loro una mina coppa ciascuno. E’ ovvio invece che se fosse stato un incontro di bambini obbligati a combattere ci sarebbe stato dietro anche un giro di soldi e scommesse tali che non sarebbe stato possibile per l'arbitro non prendere una decisione così… salomonica. Abbiamo chiesto al Maestro Claudio Alberton, una delle massime espressioni in Italia degli sport da combattimento, 6° dan Fikbms direttore tecnico nazionale del K1 rules Fikbms-WAKO; membro della commissione nazionale MMA (arti marziali miste) FIKBMS-WAKO; maestro di karate shotokan 4° dan; presidente della Born to fight e della University of Fighting e allenatore di molti grandi campioni tra cui, per ricordarne una molto nota, Stefania Bianchini. Con lui abbiamo voluto riguardare il filmato per chiedere a un esperto cosa sia realmente accaduto. </p><p> </p><h3> Maestro Alberton cosa ne pensa di questo incontro tra bambini inglesi di 8 anni presentato dall'Ultimate Cage?</h3> Sinceramente già dai primi commenti avrei voluto smettere di guardare il filmato perché si intuiva una chiara strumentalizzazione di quello che semplicemente è stato un combattimento di brazilian jiu jitsu arte marziale praticata per lo più a terra derivata dallo Judo e dallo Jiu Jitsu giapponese. <h3>Mi sembra di capire quindi che si sia voluto creare del sensazionalismo. Guardando il filmato con lei ho sentito frasi che mi sono sembrate fuori luogo, come ad esempio che i due bambini non avevano nessun tipo di preparazione pugilistica, ma di pugni non se ne sono visti, per non parlare di quando il cronista ha affermato che uno dei due bambini era caduto per terra, quando in realtà erano già per terra come la loro disciplina prevede. </h3> Ma sì, questo servizio è chiaramente una bufala. Sono convinto che non solo gli addetti ai lavori, ma tutte le persone dotate di intelletto e un minimo di osservazione, si siano accorte della falsità della notizia. I giornalisti che ne hanno voluto dare notizia hanno fatto sicuramente i finti tonti, perché non posso credere che pensino realmente le cose che hanno scritto o detto. Al massimo quello che mi può venire in mente è che abbiano mandato giornalisti incompetenti sul tema e che questi non avendo le conoscenze abbiano deliberatamente voluto creare una notizia shock. <h3>Dunque secondo lei è mancata la professionalità nel trattare la notizia. Forse però le perplessità sono state indotte anche dall'abbigliamento di questi bambini che non avevano il kimono ma semplici pantaloncini. Crede che se avessero avuto il kimono sarebbe cambiato l’approccio del pubblico? </h3> Premesso che a mio parere l’indignazione che si è tentato di fomentare è stata in realtà molto limitata, non saprei se con il kimono le cose sarebbero andate diversamente. Ciò che è certo è che si è trattato solo un combattimento di BJJ o di Judo se preferisce, quindi di lotta, simile a quella che fanno i bambini quando giocano tra loro. <h3>Ma non crede che il kimono, nell’immaginario, venga associato al valore positivo delle arti marziali?</h3> Certo il kimono rende tutti più tranquilli e sicuri. Le arti marziali sono associate al kimono, e le arti marziali sono consigliate ai bambini, io stesso mi trovo a consigliarle a chi mi chiede di essere indirizzato ad un'attività motoria per bambini, e così consiglio il Karate o il Judo, che hanno il kimono. Ma parlando dell'incontro, le posso dire il motivo per cui questi bambini non avevano il kimono: la loro preparazione richiedeva una tenuta di maggiore praticità come i pantaloncini. <h3>Quindi l'occhio vede una cosa e la mente se ne spiega un'altra: vediamo bambini buttarsi per terra con il kimono e non ne rimaniamo colpiti, vediamo invece bambini muoversi in modo anche meno violento ma poiché sono in pantaloncini ci impressioniamo. Si è parlato come se questi bambini stessero facendo dei veri e propri incontri di arti marziali miste… </h3> Non esiste la mma praticata da bambini! E questo ci tengo a sottolinearlo. Se dovessero esistere genitori che iscrivono i loro bambini a fantomatici corsi di mma, proporrei per questi l'arresto e comunque sicuramente toglierei loro la patria potestà. Probabilmente sarei portato a credere che siano incapaci di intendere e volere, ma quanto detto non si riferisce all'incontro del quale stiamo parlando perché, ripeto, era solo lotta stile BJJ o se preferisce stile Judo. <h3>Una delle critiche avanzate riguarda la mancanza di protezioni di questi bambini.</h3> Non avevano protezioni perché stavano facendo lotta e non essendovi lo striking, cioè i calci e i pugni, non servivano le protezioni, vedi ad esempio il Judo. Stiamo parlando invece di una disciplina da combattimento differente. L'mma è completo, si combatte su due livelli, in piedi e a terra, le discipline sono essenzialmente la Muay Thai, il wrestling e la submission. Queste sono quelle classiche poi ogni marzialista compie il proprio percorso di studi che può comprendere ad esempio anche il bbj, il sambo e alcuni stili di Karate. In questi combattimenti nella categoria dilettanti le protezioni sono obbligatorie e fino al 5° match non sono concessi neanche i colpi di striking durante le fasi di lotta a terra, una volta divenuti professionisti rimangono comunque obbligatori i guantini. <h3>Quindi il fatto che questi bambini non avessero protezioni ancor di più ci fa comprendere che in realtà si trattava di un incontro di Bjj.</h3> Queste informazioni gliele posso dare con certezza in quanto membro della commissione di mma della FIKBSM – WAKO ,alla quale è stato ultimamente associato il settore di mma in modo ufficiale, che è senza dubbio la federazione italiana più rappresentativa per gli sport da ring e da tatami. <h3>A proposito di tatami, ha fatto probabilmente impressione al pubblico vedere che questi bambini stessero combattendo in una gabbia solitamente adottata dall'mma.</h3> L'mma in realtà viene praticato anche sul ring, ricordo ad esempio il famoso circuito giapponese del “Pride”. La gabbia invece viene solitamente usata nell'altro circuito, quello americano chiamato U.F.C. La gabbia offre un'area più estesa e permette il lavoro vicino alle reti senza il rischio di cadere, invece il ring avendo le corde obbliga l'arbitro a dover bloccare l'incontro quando i contendenti si avvicinano troppo al bordo, poi li fa riaccomodare al centro nella stessa posizione in cui erano, per vedere da lì cosa accade. <h3>Beh, detta così sembra tutto un gioco... comunque se ho capito bene la gabbia è tutelante, sarebbe stato più pericoloso se questi bambini avessero combattuto sul ring in quanto potevano rischiare di cadere.</h3> Sia esso fatto sul tatami, sul ring o all'interno di una gabbia, sostanzialmente il prodotto non cambia, non bisogna lasciarsi impressionare dai termini, bisogna imparare ad osservare. Comunque come organizzatore di incontri ed eventi marziali io stesso preferisco la così detta gabbia se vi è lotta a terra, perché è più idonea. <h3>Da quanto lei ha detto riguardo all'incontro sul ring, ovvero che l'arbitro ferma i contendenti, poi li fa risistemare al centro nella stessa posizione, l'mma mi sembra meno violento di quello che forse può apparire nell'imaginario comune, come mai invece ha questa fama che le altre arti marziali non hanno?</h3> Il combattimento può sembrare violento per l'essenza stessa della tipologia di confronto, la gente probabilmente si lascia suggestionare dal fatto che non vi siano protezioni e si utilizzino i guantini aperti, ma in realtà se confrontato con la boxe, la quale gode invece di un positivo consenso da parte del pubblico... <h3>Certo, la nobile arte!</h3> Ecco, questa in realtà risulta più pericolosa; nell'mma infatti i colpi vengono distribuiti sull'intero corpo e inoltre si vince anche per sottomissione e strangolamento, che altro non è che mettere in atto una mossa che sarebbe offensiva, ma senza portarla a termine, in quanto l'avversario batte per terra facendo capire di essersi arreso. Nella boxe i colpi vengono concentrati principalmente sul viso e nella ricerca del ko, a causa dei guantoni ammortizzanti, di colpi ne vengono dati tanti e ripetutamente, questo può rischiare di portare delle complicazioni; certo anche nell'mma esiste la vittoria per ko, ma paradossalmente, proprio perché vi sono i guantini aperti, basta un colpo ben assestato per far sì che si dichiari ko, senza aspettare che la persona sia tramortita di pugni fino a cadere. <h3>Si potrebbe pensare che la fama dell'mma e della boxe sia in realtà legata ai film: chi mai dimenticherà l'eroicità di Rocky? Mentre di contro, soprattutto ultimamente, si sono visti film violenti sull'mma. </h3> Vorrei dire una cosa: sono 33 anni che milito nelle arti marziali e sport da combattimento, ho girato il mondo sia come allievo che come maestro. Attualmente organizzo anche eventi sportivi, come il Milano in the Cage, mio fiore all'occhiello, e ho moltissimi campioni che hanno vinto con me diversi titoli, ben 24 cinture tra quelle europee e mondiali, ma la mia più grande soddisfazione è non aver mai accompagnato nessuno all'ospedale per infortunio grave! <h3>Mma vuol dire arti marziali miste quindi immagino un pubblico appassionato a diverse arti marziali, mentre mi sembra che nell'immaginario ci sia la visione di un pubblico più violento.</h3> Il pubblico è eterogeneo, si va dall'appassionato di arti marziali al neofita. La completezza e la spettacolarità rendono questo sport affascinante ed appassionante. In realtà lo consiglio ai ragazzini solo se accompagnati dai genitori e istruiti su quanto stia accadendo sul ring o nella gabbia, i genitori devono trasmettere una visione dello sport più ludica e meno competitiva, e questo vale per tutti gli sport!. In quanto membro della commissione di Mma vorrei chiudere con una riflessione: l'Mma è l'essenza del combattimento dove non è lo stile praticato ma è l'uomo a fare la differenza. E’ un confronto aperto gestito da regole e vince il migliore, che in quel caso è colui che si è meglio preparato per il match. <p> Le parole del maestro Alberton ci hanno consentito di eliminare qualche stereotipo e qualche pregiudizio sul mondo delle arti marziali. Dall’evento di cui sono stati protagonisti i due bambini in Inghilterra si è voluto fare del sensazionalismo. Questo può essere controproducente e rischia di creare una profezia che si autoavvera. Cosa penseranno di loro stessi questi due bambini dopo il caos scoppiato per il loro incontro? E’ probabile che questo finto scandalo divenga per loro il vero shock da dover superare. La stampa ha un grande potere e, per citare un famoso film di Sam Raimi, “da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Anche là dove la notizia è un fatto bisogna stare attenti ai dettagli: può essere divertente credere in un fatto, ma pericoloso crederci interamente.</p></div></div></div><div class="field field-name-field-immagine field-type-image field-label-above"><div class="field-label">Immagine:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><img src="http://spaziopsichico.it/sites/default/files/022.jpgper%20spaziopsichico.jpg" width="620" height="414" alt="" /></div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">Tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Sun, 06 Nov 2011 22:19:35 +0000 dalila 75 at http://spaziopsichico.it La prima impressione è quella che conta http://spaziopsichico.it/prima-impressione-quella-che-conta <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><p>Questo è quindi il periodo delle possibilità e dei nuovi incontri, spesso incontri importanti che ci si porterà dietro per un po&#039;, e dai quali dipenderanno molte cose, dall&#039;atmosfera lavorativa alla nostra reputazione, dal nostro presente al nostro futuro. E&#039; chiaro dunque che queste nuove occasioni e questi nuovi incontri non possono essere gestiti con troppa leggerezza, ma è necessario un po&#039; di ingegno e qualche conoscenza dei meccanismi sociali, per poter ottimizzare al meglio questi importanti momenti.</p> <p>Effetto primacy<br /> La cosa più importante da sapere per sfruttare al meglio le situazioni, è che a fare realmente la differenza sia proprio la prima impressione; questo è un concetto noto a molti, ma come tante altre cose e tanti altri insegnamenti, non sempre viene seguito e non sempre gli viene dato il giusto valore e quando questo avviene rischiamo di trovarci in situazioni spiacevoli dalle quali uscire è difficile.<br /> Cerchiamo allora di comprendere concretamente l&#039;importanza della prima impressione così da gestire meglio gli incontri e le occasioni per noi importanti.<br /> Voglio invitarvi a leggere il seguente brano<br /> “Finite le lezioni, Jim uscì dalla classe da solo. Fuori dalla scuola, iniziò la sua lunga camminata verso casa. La strada era inondata da un sole splendente. Jim camminò sul lato ombroso della strada. Lungo la strada, vide venirgli incontro la ragazza carina che aveva incontrato la sera precedente. Jim attraversò la strada e entrò in un negozio di caramelle. Il negozio era pieno di studenti e notò un paio di facce familiari. Jim aspettò silenziosamente il suo turno e fece l&#039;ordinazione al cameriere. Prese la sua bibita e si sedette a un tavolo laterale. Quando finì la bibita, tornò a casa.<br /> Jim uscì di casa per comprare del materiale da ufficio, Camminò lungo la strada riempita dal sole con due suoi amici, giocando con il pallone da pallacanestro mentre camminava. Jim entrò nella cartoleria, che era piena di gente. Parlò con un conoscente, mentre aspettava il suo turno. Mentre usciva, si fermò a chiacchierare con un compagno di scuola che stava entrando nel negozio in quel momento. Lasciato il negozio, si incamminò verso la scuola. Per strada, incontrò la ragazza che gli era stata presentata la sera prima. Chiacchierarono per un po&#039; poi Jim si diresse verso scuola.”<br /> Questo brano è stato usato dall&#039;università di Yale per gli studi sulle prime impressioni, il così detto effetto primacy. E allora, che impressione vi ha fatto Jim? E&#039; un ragazzo timido e introverso o spigliato ed estroverso?<br /> Secondo Yale l&#039;82% di voi risponderà che è timido e introverso.<br /> Ma ora provate a resettare completamente (se è possibile) il brano precedente e leggete quest&#039;altra versione:<br /> “Jim uscì di casa per comprare del materiale da ufficio, Camminò lungo la strada riempita dal sole con due suoi amici, giocando con il pallone da pallacanestro mentre camminava. Jim entrò nella cartoleria, che era piena di gente. Parlò con un conoscente, mentre aspettava il suo turno. Mentre usciva, si fermò a chiacchierare con un compagno di scuola che stava entrando nel negozio in quel momento. Lasciato il negozio, si incamminò verso la scuola. Per strada, incontrò la ragazza che gli era stata presentata la sera prima. Chiacchierarono per un po&#039; poi Jim si diresse verso scuola.<br /> Finite le lezioni, Jim uscì dalla classe da solo. Fuori dalla scuola, iniziò la sua lunga camminata verso casa. La strada era inondata da un sole splendente. Jim camminò sul lato ombroso della strada. Lungo la strada, vide venirgli incontro la ragazza carina che aveva incontrato la sera precedente. Jim attraversò la strada e entrò in un negozio di caramelle. Il negozio era pieno di studenti e notò un paio di facce familiari. Jim aspettò silenziosamente il suo turno e fece l&#039;ordinazione al cameriere. Prese la sua bibita e si sedette a un tavolo laterale. Quando finì la bibita, tornò a casa.”<br /> Come potrete notare si sono solo invertiti i paragrafi, e pure letto in quest&#039;ordine più del 95% delle persone sosterranno che Jim è spigliato ed estroverso. Se non riuscite a resettare il vostro effetto primacy tra una lettura e l&#039;altra, potete provare ad usare i vostri amici e colleghi come cavie, vedrete che le persone a cui presenterete il primo brano Jim sembrerà poco amichevole, mentre le persone a cui presenterete il secondo brano sembrerà più amichevole.<br /> Eppure il brano è lo stesso, vi è lo stesso elenco di comportamenti, tra l&#039;altro equamente suddivisi in comportamenti amichevoli e non amichevoli, e allora come mai Jim riesce a lasciare impressioni addirittura opposte nelle persone a seconda del paragrafo con cui si inizia a leggere il racconto descrittivo su Jim?<br /> Il motivo dipende proprio da quali sono le prime azioni di una persona (in questo caso Jim) con cui veniamo a contatto o a conoscenza. Vediamo come questo accada.</p> <p>Giustificare le prime impressioni<br /> Le persone si costruiscono uno schema preliminare sulle prime caratteristiche salienti che la persona appena conosciuta, o appena incontrata, presenta loro; una volta costruito questo schema tutte le ulteriori caratteristiche che vanno ad integrarsi bene con lo schema iniziale verranno notate ed accettate, andando quindi a confermare maggiormente la prima impressione; invece le caratteristiche dissonanti con lo schema iniziale verranno alcune giustificate in modo che possano essere accettate, ed altre non verranno proprio prese in considerazione. Facciamo degli esempi con Jim.<br /> Coloro che lo giudicano timido potranno pensare che i due amici con cui Jim percorre la strada per andare a scuola sono probabilmente i suoi unici due amici e potranno pensare che vi sia tra loro un rapporto sincero ma freddo; potranno anche pensare che si sia messo a parlare col compagno di scuola perché l&#039;aveva incontrato faccia a faccia e non poteva tirarsi indietro. Potranno anche immaginarselo mentre timidamente chiacchiera con la ragazza che gli piace; al tempo stesso potranno non valutare come dato importante il fatto che si sia messo a chiacchierare con un conoscente nel negozio.<br /> Mentre coloro che hanno valutato Jim come estroverso potranno giustificare i suoi comportamenti introversi con la stanchezza del momento, o con fattori esterni quali il caldo o la fastidiosa luce che probabilmente andava nei suoi occhi quando ha deciso di camminare all&#039;ombra, o potranno ritenere che i volti familiari incontrati nel negozio di caramelle non erano così familiari, e potranno ignorare altri comportamenti quali l&#039;aver cambiato strada proprio mentre stava per incontrare la ragazza che gli piaceva.</p> <p>Sfruttare la forza delle prime impressioni<br /> Pensate a quante supposizioni è possibile fare per giustificare una propria idea nata da una prima impressione. E&#039; un po&#039; come se le persone costruissero teorie sulle altre persone e cercassero continui indizi per verificarle, e ne scartassero altri non utili a tale verifica.<br /> Conoscere questi meccanismi può aiutarci ad avere meno pregiudizi sugli altri e a stare più attenti quando sentenziamo sui comportamenti altrui, ma come fare perché gli altri non abbiano pregiudizi su di noi? In realtà non possiamo evitarlo, possiamo solo impegnarci a dare l&#039;impressione che vogliamo alle altre persone con cognizione di causa. Questo è un concetto molto noto ad esempio tra i professori, essi infatti sanno bene che se i primi giorni appariranno severi, anche se poi allenteranno… la briglia, verranno sempre visti dai loro studenti come rigorosi, creando così una sorta di severità educativa con alterne concessioni; mentre i professori che si presenteranno come amichevoli dal primo giorno faranno poi fatica a farsi rispettare nei momenti in cui sarà richiesto e anzi rischieranno di risultare esilaranti quando cercheranno di reagire severamente.<br /> In realtà anche molti studenti conoscono bene l&#039;importanza della prima impressione, capita spesso all&#039;università vedere, soprattutto i primi giorni delle lezioni, studenti talmente impegnati a sembrare attenti da non riuscire a pensare ad altro, neanche a ciò che sta dicendo il professore.<br /> Succede che le persone cerchino di ostentare una prima impressione, poco importa se in questa ostentazione si perda l&#039;essenza: quel che conta è la prima impressione!</p> <p>Far percepire le proprie competenze<br /> Abbiamo quindi dato un&#039;idea di quanto sia importante la prima impressione, e l&#039;averlo fatto usando come esempio cardine un testo scritto (quello di Jim) dovrebbe far ragionare anche su quanto sia importante la prima impressione non solo nella presentazione della nostra persona, ma anche sul modo che abbiamo di presentare taluni scritti, come ad esempio i curriculum, le lettere di presentazione, nonché le relazioni e i progetti.<br /> L&#039;importanza della prima impressione sarà quindi tale anche nelle prestazioni professionali o scolastiche, facciamo ancora un esempio chiamando in causa un altro esperimento, quello sulle competenze percepite, effettuato nel 1968 dal team di ricercatori formato da Jones, Rock, Shaver, Goethal e Ward.<br /> In questo esperimento si chiedeva ad una persona di osservarne un&#039;altra eseguire 30 problemi di matematica, ovviamente l&#039;esperimento era pilotato; in alcuni casi il finto solutore riusciva a risolvere i primi 15 e sbagliava la restante metà, mentre in altri casi veniva invertito il copione, così venivano eseguiti in modo scorretto i primi 15 problemi e in modo corretto i restanti 15.<br /> Alla fine veniva chiesto agli ignari osservatori di ricordare il numero di problemi risolto, coloro che avevano visto risolvere i problemi nella parte iniziale ricordavano mediamente 21 problemi risolti, mentre l&#039;altro gruppo, quelli che avevano visto risolvere i problemi nella seconda metà, ne ricordava mediamente 13. Inoltre la persona che risolveva i problemi veniva valutata mediamente più intelligente da coloro che l&#039;avevano vista risolvere correttamente i problemi all&#039;inizio, rispetto a come veniva valutata da coloro che l&#039;avevano vista risolvere i problemi nella seconda metà. Sono certa che da questo esperimento non solo gli studenti avranno di che trarne suggerimenti.</p> <p>Primo impatto: somiglianze, stereotipi e pettegolezzi<br /> Ma in realtà la prima impressione non dipenderà esclusivamente dalle nostre prime azioni e dal nostro impegno, vi sono altri fattori che influiscono addirittura già dal primo impatto.<br /> Tra questi vi è ad esempio la somiglianza con persone già note, è infatti tipico, a tutti sarà già capitato, di provare simpatia o antipatia a pelle per qualcuno che assomiglia a un amico dell&#039;infanzia.<br /> Ma non solo, gran peso nelle valutazioni sia della persone che delle loro prestazioni e competenze lo hanno i famigerati, ma anche utili, stereotipi.<br /> Infatti quando incontriamo qualcuno, o quando leggiamo di qualcuno, la prima cartella che viene attivata nella nostra mente (ancor prima di osservare le azioni, i comportamenti, o i contenuti) è quella delle tipologie a cui appartiene: genere sessuale, nazionalità, età, ceto, cultura e se possibile anche religione, idee politiche e condizione familiare.<br /> Infatti noi tutti tendiamo a ordinare il mondo e le persone che lo abitano in categorie, le quali sono intrise di stereotipi, ovvero convinzioni banali e ingenue sulle persone categorizzate in base ad un aspetto comune. Così avremo le donne, gli uomini, gli italiani, gli arabi, i giovani, gli anziani, i nobili, i calciatori, gli scienziati, i testimoni di Geova, gli atei, i comunisti, i fascisti, i single, i genitori e via dicendo, ognuna di queste categorie non racchiuderà in se la mera descrizione della categoria, ma avrà al suo interno moltissime inferenze sulla stessa.<br /> In realtà gli stereotipi hanno una funzionalità importantissima, essi ci permettono di risparmiare energie mentali le quali possono essere così investite in cose più utili, infatti gli stereotipi fanno sì che ciascun individuo possa prevedere le azioni dell’altro, riducendo quindi lo spreco di energie che altrimenti sarebbe causato da uno scenario sempre nuovo.<br /> Ma al di là del loro valore adattivo essi sono comunque un modo approssimativo di giudicare le persone e dove l&#039;incontro vada più in là di un&#039;occhiata fugace per la strada, dovrebbero essere sostituiti con delle nostre valutazioni più ragionate. Ma il rischio è che spesso le persone cerchino di verificare gli stereotipi piuttosto che accantonarli.<br /> Oltretutto attenzione ai pettegolezzi, essi hanno un potere ancora più forte degli stereotipi, in quanto presumo che qualcuno abbia già verificato il nostro modo di essere, il pettegolezzo è ancora più complicato da abbattere, in quanto ogni azione verrà giudicata e sostenuta dal pettegolezzo stesso.<br /> Per fortuna se la persona si sta realmente interessando a noi abbiamo la possibilità di cambiare i suoi preconcetti, a quel punto sarà importante ciò che noi daremo attivamente come prima impressione, confermeremo i suoi stereotipi e le sue convinzioni o li stravolgeremo inequivocabilmente?</p> <p>Pregiudizi che si autoavverano<br /> In pratica quando incontriamo una persona, la prima cosa che facciamo è recuperare informazioni sulle categorie a cui appartiene, nel prosieguo dell&#039;incontro la confrontiamo involontariamente con immagini del passato, poi cerchiamo le verifiche o le smentite a questi nostri preconcetti (cosa che diventerà più complicata se i pregiudizi ci saranno stati suggeriti da qualche pettegolezzo).<br /> A questo punto ci siamo fatti una prima impressione abbastanza stabile intrisa delle nostre teorie su quella persona, teorie alle quali ora cercheremo di volta in volta conferme.<br /> Queste teorie che ci costruiamo sulle persone possono però avere effetti pigmalionici, facendo addirittura far diventare la persona così come noi crediamo che sia, infatti il nostro comportamento sarà dettato da talune convinzioni, e ad ogni nostra azione corrisponderà reazione uguale e contraria.<br /> Facciamo un esempio: se sono convinto che un nuovo assunto sia un incapace, il modo in cui lo tratterò lo farà veramente diventare pian piano sempre più incapace, infatti è probabile che eviterò di dargli qualsiasi tipo di incarico non permettendogli di fare pratica nel lavoro.<br /> E così noi stessi rischiamo di essere creati dalle convinzioni degli altri, ad esempio se un collega è convinto che voi siate delle persone antipatiche è probabile che si comporterà lui per primo in modo freddo e poco amichevole con voi, inducendo voi stessi a rispondere con antipatia confermando così in lui la convinzione che voi siate antipatico.<br /> La soluzione in questi casi è comportarsi in modo inverso a quello che ci si aspetterebbe, se un collega si comporta male con voi, probabilmente è perché ha delle cattive opinioni sulla vostra persona, in questi casi contraccambiare il suo comportamento freddo con un sorriso caloroso potrebbe invertire la sua involontaria manipolazione, e voi potrete modellarvi da soli.</p> <p>Concludendo<br /> E&#039; normale avere delle proprie teorie sugli altri e anche aiutarsi con gli stereotipi, ed è normale che non di tutti siamo interessati a sapere come effettivamente stanno le cose; ma con le persone che ci interessano, e negli incontri per noi importanti dovremmo sapere andare al di là dei pregiudizi che possono essere nati da impressioni, ricordi, stereotipi o da pettegolezzi, e dovremmo anche cercare di comprendere fin dove le nostre valutazioni sono influenzate dall&#039;effetto primacy.<br /> Le persone sono molto più complesse di una prima impressione.<br /> Ci sono momenti in cui è importante dare precise comunicazioni sulla nostra persona, momenti in cui conviene comunicare determinate cose, l&#039;importante è avere bene in mente cosa vogliamo comunicare e farlo dal primo impatto e con gran forza.</p> </div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Sat, 01 Oct 2011 22:17:00 +0000 dalila 73 at http://spaziopsichico.it Il respiro dell’oblio e la personalità multipla http://spaziopsichico.it/respiro-dell-oblio-e-personalit%C3%A0-multiple <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><p>Può un assassino saper amare? Può un assassino saper essere padre?<br /> Pirandello ci risponderebbe “lo immagino perfettamente l&#039;amore d&#039;un tal padre per il suo figliuolo, la tremante delicatezza delle sue grosse mani nell&#039;abbottonargli la camicia bianca attorno al collo. E poi feroci domani all&#039;alba, quelle sue mani, sul palco...<br /> Ovviamente qui si parla di un Boia, di un assassino legalizzato; ma legale o meno, questo assassino non sarà (o non dovrebbe essere) ancora tale mentre abbraccia suo figlio. Dove finisce l&#039;assassino e dove inizia il padre?</p> <p>Contrasti coesistenti<br /> Siamo fatti di azioni uniche e di ruoli singoli? Abbiamo sempre fatto solo il bene o solo il male?<br /> Eppure siamo figli e padri, incoscienti e responsabili; siamo lavoratori e amanti, seri e selvaggi; siamo più fortunati e svantaggiati, compassionevoli e invidiosi.<br /> In ognuno di questi ruoli si esprimono le nostre azioni e i nostri sentimenti diversissimi e spesso contrastanti tra loro a seconda del contesto e della situazione.<br /> Sembriamo dimenticare la nostra violenza e le nostre volgarità quando guardiamo negli occhi i nostri innocenti bambini; sembriamo dimenticarci di essere stati anche noi spesso ingiusti quando sentenziamo sul comportamento degli altri, confondendoli spesso con una loro singola azione.<br /> Come avviene ciò? Perché mentre viviamo un sentimento, mentre interpretiamo un ruolo (o un personaggio) ci comportiamo come se ci dimenticassimo altri nostri sentimenti e ruoli? Vi è una spiegazione cognitiva a quella che a un primo sguardo può sembrare incoerenza e ipocrisia?<br /> In realtà la spiegazione è la memoria: registrazione e recupero e, a volte, mancata registrazione e impossibile recupero.</p> <p>Ricordi separati<br /> Ricerche sperimentali hanno dimostrato che ciò che memorizziamo in un certo luogo sarà più facile da ricordare se riportati in quello stesso luogo, allo stesso modo ciò che memorizziamo con un sentimento sarà più facile da ricordare provando quello stesso sentimento, e ciò che si memorizza in un determinato ruolo sarà più facile da recuperare in quello stesso ruolo.<br /> Volete un esempio? Vi è mai capitato, mentre state chiacchierando con la vostra compagna di un qualsiasi argomento, di aver visto passare una bella donna? Per un attimo non riuscite a ricordare cosa stavate dicendo, perché in voi si è svegliato un altro personaggio (quello attratto dalle donne, o quello impaurito dall&#039;arrivo di rimproveri, oppure quello intento a dimostrare la sua integrità) e dovrete prendere tempo con un imbarazzante “eee” della durata di qualche secondo per tornare in voi, nel voi che stava chiacchierando con la propria compagna, e ricordarvi nuovamente di cosa le stavate parlando. Ma vi possono essere mille altri esempi, come quello dei genitori che dimenticano di essere tali nelle ore di lavoro.<br /> Questa separazione delle memorie è in realtà un meccanismo adattivo messo in atto dalla nostra mente, che si dimostra sempre più utile in una società dove ognuno ha la possibilità di assolvere impegni di molteplici ruoli. Ve lo immaginate altrimenti il povero ginecologo nel letto con la moglie? dovrebbe chiamarli straordinari; e quelle povere madri dotate di una giusta severità, non riuscirebbero più a divertirsi con le amiche.</p> <p>Rielaborazione e coerenza<br /> Ovviamente in tutti noi vi è un filo conduttore, non perdiamo realmente del tutto la memoria tra un ruolo e un altro, è possibile coscientemente portare alla mente ricordi che non sono consoni al ruolo del momento. Ma quello che sarà diverso, e a volte anche drasticamente, è la rielaborazione dei nostri comportamenti a seconda del momento. Infatti la rielaborazione di un ruolo (o di un personaggio) fatta al di fuori dello stesso, quindi da un altro dei nostri ruoli (o personaggi), sarà diversa rispetto a quello che abbiamo veramente sentito, o a quello che ricorderemmo, con il ruolo a cui la sensazione o il pensiero si riferisce.<br /> E allora come mantenere la nostra coerenza e sentirci sempre in noi?<br /> Se ci sentiamo sempre coerenti con noi stessi è perché ogni volta che pensiamo alle nostre azioni passate lo facciamo rielaborando il tutto con la testa che abbiamo in quel momento, così la nostra memoria autobiografica risente di continue rielaborazioni della nostra personalità.<br /> In noi tutti vi sono quindi molteplici coscienze e personalità che continuano a rielaborarsi a vicenda e la differenza con le personalità multiple propriamente dette è proprio il filo conduttore di cui disponiamo.</p> <p>Personalità multipla<br /> A questo punto non si può non parlare del così detto disturbo da personalità multipla il quale è meno lontano dalla normalità di quanto pensiamo.<br /> Come nasce questo disturbo? Alcuni direbbero che le persone con questo tipo di personalità sono nate così e basta, altri potrebbero dissentire dicendo che vi è stato un trauma, molti potrebbero mediare sostenendo che vi è una concomitanza delle due cose.<br /> La cosa più importante, quella indispensabile perché si crei una personalità multipla è il respiro: l&#039;apprendimento consapevole o meno di una respirazione particolare che aiuti a creare intorno a noi l&#039;oblio.<br /> Sembrerà incredibile ma vi è proprio un tipo di respiro che aiuta a dimenticare, o meglio a non registrare i ricordi, così che rimangano realmente nell&#039;oblio.<br /> In questo modo le persone possono passare tranquillamente da un atteggiamento al suo esatto opposto, senza subire minimamente perdita di coerenza.</p> <p>Il respiro dell&#039;oblio<br /> Sono i respiri profondi fatti col torace in maniera continuativa (quelli che se fatti a ritmo elevato rischiano anche di far svenire) i responsabili dei passaggi da una personalità all&#039;altra con sicure indifferenza. Questo tipo di respirazione viene messa in atto spontaneamente da chi soffre di questo disturbo, o meglio, da chi ha imparato (volontariamente o meno) a provocarsi questo disturbo.<br /> Ma come può un tipo di respirazione far dimenticare? La spiegazione è scientifica, questo respiro provoca un arricchimento di ossigeno nel sangue e un conseguente impoverimento di anidride carbonica, il sangue quindi diventa più alcalino (ph basico); l’emoglobina, che trasporta l’ossigeno ai tessuti, in questo ambiente alcalino fa più fatica a rilasciare ossigeno ai tessuti perché il legame tra emoglobine e ossigeno diventa più forte. Quindi rimarrà troppo ossigeno nei polmoni e nel sangue, e troppo poco nei muscoli e nel cervello: ma la memoria ha bisogno di ossigeno per funzionare! Così saranno attivi solo i neuroni e i muscoli anaerobici, cioè che non dipendono dall’ossigeno, che servono agli automatismi e ai comportamenti d’emergenza. E’ la nostra mente che si autoipnotizza! Quindi potremo mettere in atto comportamenti in modo automatico, senza troppo pensarci su, e soprattutto non ricorderemo quello che abbiamo fatto in quanto la memoria senza ossigeno non funziona, non potremo memorizzare.<br /> Sono stati fatti anche degli studi su scalatori d&#039;alta quota per capire il collegamento tra ossigeno e cognizione, ed è stato verificato che a causa della scarsità di ossigeno nel cervello, la cognizione va vacillando pesantemente, così come l&#039;attenzione e le capacità di riconoscimento. Durante questi studi è stato anche verificata l&#039;elevata possibilità che il deossigenamento del cervello se prolungato possa portare a danni permanenti, quindi don&#039;t try this at home!</p> <p>L&#039;apprendimento del respiro obliante<br /> La gestione del respiro cerebralmente deossigenante, viene appresa di solito involontariamente.<br /> Per esempio può accadere la prima volta per sbaglio in una situazione di rabbia o dolore intensi, come può essere l’aver assistito alla morte di un familiare o l&#039;aver subito uno stupro, altre volte si mette in atto questo respiro in modo spontaneo durante un semplice litigio. In tutti questi casi è molto probabile che il respiro si affanni; successivamente la nostra mente impara che in determinate situazioni conviene mettere in atto questo respiro. Ovviamente l’individuo non saprà che è a causa del respiro che riesce a perdere la memoria, e probabilmente non saprà neanche perché in determinati momenti azioni questo respiro, ma come in un condizionamento operante imparerà automaticamente che ogni volta che si arrabbierà, ecciterà o addolorerà, l&#039;azionare questo respiro darà la ricompensa dell&#039;oblio. Come il condizionamento classico del cane di Pavlov che cominciava involontariamente a salivare al suono del campanello che preannunciava l&#039;arrivo della pappa, così l&#039;individuo ad ogni campanellino d&#039;allarme azionerà involontariamente questo respiro profondo.<br /> E si abituerà ad usare questo respiro per entrare ed uscire senza problemi da una coscienza ad un&#039;altra, e il tempo che ci metterà il respiro a deossigenare il cervello sarà sempre più breve, e quindi sempre più facile da utilizzare.</p> <p>Altri respiri deossigenanti<br /> Respiri lievemente deossigenanti vengono fatti anche in momenti di quiete quali alcuni tipi di meditazione, nelle ipnosi, o negli stati di dormiveglia; vengono anche insegnati in alcune culture indigene agli aspiranti medium.<br /> Ma parliamo dello stato di dormiveglia, che tra gli esempi citati è l&#039;unico universale, qui il respiro deossigena lievemente il cervello probabilmente per aiutare l&#039;uomo a prendere sonno nonostante i mille pensieri. Il dormiveglia ricorda lo stato ipnotico e imparare a gestire questo stadio è utilizzato in diversi tipi di training-autogeno. Comunemente, durante questo stadio ricordarsi cosa si stava pensando, anche se ridestati immediatamente dopo, è veramente difficile, alcune volte impossibile e non c’entrano niente i meccanismi di difesa della nostra psiche, ma solo l’ossigeno che arriva in quantità inferiore al nostro cervello così da poterci rilassare e far dimenticare per un attimo, quello del passaggi dalla veglia al sonno, i nostri pensieri i quali torneranno poi sotto forma di sogni durante il sonno REM.</p> <p>Differenza tra dormiveglia e sonno REM<br /> I pensieri del dormiveglia sono più difficili da recuperare anche rispetto ai sogni della fase REM perché durante la fase REM abbiamo una migliore attività cerebrale e una migliore possibilità di recupero dei ricordi.<br /> Il motivo per cui non ricordiamo i sogni durante questa fase non è nella nostra respirazione ma è il luogo (esterno e interno, ossia mentale) nel quale è avvenuta la registrazione a influire sul recupero: spesso basta tornare a dormire la sera dopo per ricordarsi ciò che si era sognato la notte precedente o basta un&#039;emozione simile a quella provata durante il sogno a rievocare un&#039;immagine. Questo non accade invece per i pensieri del dormiveglia che non vengono adeguatamente “registrati”.</p> <p>Concludendo<br /> Sono le situazioni, i ruoli e le emozioni a influire sul recupero dei ricordi e sulla rielaborazione. Tutto questo in realtà rientra nella normalità delle cose, nella normalità dei sistemi adattivi e dei meccanismi di difesa.<br /> La memoria, sia quella tenuta separata da lucide coscienze divise in scomparti comunicanti, che quella mal funzionante di alcuni stati alterati dalla deossigenazione, agisce per sopravvivenza; ci aiuta ad evadere, ad addormentarci, ad assolvere ai diversi ruoli richiesti dalla società e anche a sopportate l&#039;idea di morte.<br /> Gli eventi degli ultimi tempi ci inducono a ipotizzare un sovradosaggio di questi meccanismi adattivi. Forse è per questo che si incontrano uomini che ascoltano musica classica imbracciando armi e padri boia dei loro stessi figli: questioni di perfetto oblio.</p> </div></div></div><div class="field field-name-field-immagine field-type-image field-label-above"><div class="field-label">Immagine:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><img src="http://spaziopsichico.it/sites/default/files/doppia-personalita.jpg" width="280" height="231" alt="" /></div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">Tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Sat, 01 Oct 2011 22:11:44 +0000 dalila 72 at http://spaziopsichico.it C.S.I. sceneggiata del crimine. http://spaziopsichico.it/sceneggiata-del-crimine <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><p>Nel 1986, negli Stati Uniti, Ronald Cotton fu condannato alla reclusione a vita per aver violentato una ragazza, Jennifer Thompson, la quale sosteneva di averlo riconosciuto perfettamente in quanto sicura di ricordarsi il volto dell&#039;uomo nei suoi particolari.</p> <p>Jennifer Thompson infatti affermò che mentre subiva la violenza cercava di memorizzare più particolari possibili di quell&#039;uomo e che mai avrebbe dimenticato il volto del suo carnefice.</p> <p>Il caso Ronald Cotton<br /> Durante la reclusione di Ronald Cotton un altro carcerato, Bobby Poole, si vantò con dei compagni di cella che Cotton stava scontando al posto suo la pena per la violenza carnale a Jennifer Thompson.<br /> La soffiata arrivò a chi di dovere e fu organizzato un confronto tra Jennifer e Bobby Poole; ma la Thompson sostenne di essere certa di non aver mai visto quell&#039;uomo in vita sua: il volto dello stupratore era ben impresso nella sua mente ed era quello di Cotton.<br /> Durante l&#039;unidcesimo anno di reclusione grazie alla prova del DNA, ormai entrata in uso, fu scoperta l&#039;effettiva innocenza di Cotton e la colpevolezza di Poole nello stupro alla ragazza.<br /> Attualmente la Thompson si batte perché le testimonianze basate sui ricordi vengano trattate con cautela.<br /> Questo ovviamente non è un caso isolato, è solo un caso particolarmente drammatico, che è costato 11 anni di grandi sofferenze ad un uomo innocente che però, a differenza di altri, ha trovato soluzione. Eppure ancora oggi sì dà molta importanza alle testimonianze che si basano sui ricordi delle vittime e dei testimoni.<br /> Ma forse bisognerebbe stare più attenti e non considerare le testimonianze come prove davvero così schiaccianti. Anche la Thompson ormai l&#039;ha compreso e si batte per questo.<br /> Ma del resto è proprio il sistema di giustizia ad avere le sue responsabilità, gli interrogatori influenzano le persone e permettono a queste di ripetere più e più volte lo stesso errore nel ricordo, finché di questo la persona se ne convince al cento per cento e trasmette questa sua sicurezza anche in tribunale.</p> <p>L&#039;influenza dei ricordi<br /> Bisogna tenere presente che la polizia effettivamente con le sue convinzioni influenza i ricordi delle persone, testimoni, vittime o indagati che siano.<br /> La polizia è composta da esseri umani con le loro opinioni, che è ben difficile evitare che vengano trasmesse, anche solo implicitamente, durante gli interrogatori. Ma le autorità investigative sono simbolo di giustizia e, pertanto, inducono in una sorta di plagio involontario le vittime o i testimoni che, in buona fede, finiscono per confermare le convinzioni dei rappresentanti di quest&#039;organo di giustizia.</p> <p>L&#039;influenza dei ricordi dei bambini<br /> Coloro che maggiormente subiscono l&#039;influenza degli interrogatori sono i bambini. I bambini dicono quasi sempre quello che l&#039;intervistatore (poliziotto o spesso assistente sociale) crede, anche quando l&#039;intervistatore cerca di stare attento a non influenzarlo.<br /> Non troppo tempo fa, fu fatto un esperimento molto allarmante a riguardo, un esperimento che purtroppo non è stato pubblicizzato come avrebbe dovuto: fu chiesto a degli assistenti sociali, ovviamente ignari che si trattasse di un esperimento, di interrogare dei bambini su determinati eventi, dei quali fu dato un resoconto dettagliato; tale resoconto conteneva sia avvenimenti veri che falsi, ad insaputa degli assistenti; inoltre veniva raccomandato agli assistenti di non fare domande che potessero influenzare i ricordi dei bambini o comunque di evitare assolutamente qualsiasi domanda tendenziosa.<br /> Il risultato fu che i bambini ricordavano con un alto livello di sicurezza gli avvenimenti falsi come realmente accaduti. Quindi gli assistenti sociali, pur stando attenti, avevano involontariamente trasmesso ai bambini quello che credevano fosse accaduto, e questi l&#039;avevano riportato come reale. Inoltre, quando in una seconda fase dell&#039;esperimento, si portarono i bambini di fronte a degli esperti, questi non seppero riconoscere i ricordi reali da quelli falsi, provocati esclusivamente dalle suggestioni post-fattuali derivate dagli interrogatori.</p> <p>L&#039;influenza dei ricordi degli indagati<br /> Anche gli indagati si lasciano plagiare dagli interrogatori, e vi sono proprio dei modi in cui la polizia riesce a creare false confessioni. Probabilmente in buona fede.<br /> Ad esempio dire all&#039;accusato che ci sono prove certe sulla sua colpevolezza e che se non ricorda il crimine compiuto è perché probabilmente era sotto l&#039;effetto di qualche sostanza, o perché la sua mente ha rimosso l&#039;accaduto, addirittura la polizia per giustificare il non ricordo dell&#039;indagato arriva a sostenere che ci possa essere un disturbo di personalità. L&#039;indagato, soprattutto quello di indole onesta, arriva a credere a queste affermazioni e comincia a sviluppare fantastici ricordi su quanto accaduto, ricordi che tenderà a ripetersi e quindi a far diventare reali nella sua mente.<br /> E’ un po&#039; quello che accade quando per tappare i buchi di un sogno lo riempiamo di parti inesistenti che poi ci convinciamo di aver realmente sognato.<br /> Come accade nei sogni, questo accade anche nella realtà. Ma nel caso della realtà siamo meno disposti a crederlo possibile. </p> <p>Il caso di Paul Ingram<br /> Vi è un famoso caso, sempre di origine americana, che risale al 1988, in cui un uomo, Paul Ingram, fu accusato dalle due figlie di stupro conseguente a riti satanici. Paul Ingram essendo innocente ovviamente non ricordava questi eventi, ma la polizia, e in parte anche la chiesa di cui faceva parte, che credevano alle figlie dell&#039;uomo, erano state in grado di suggestionarlo a tal punto che Paul Ingram incominciò a ricordare sempre più dettagli dei crimini non commessi.<br /> Ma un sociologo, Richard Ofshe, esperto di tecniche di coercizione nonché di sette sataniche avanzò l&#039;ipotesi che Ingram non fosse un adepto, ma che piuttosto sembrasse plagiato nella sua confessione.<br /> Decise quindi di fare un esperimento: accusò Ingram di aver fatto durante questi riti una cosa che tutti sapevano non essere vera, cioè di aver obbligato le figlie a fare sesso fra loro. All&#039;inizio Ingram sostenne di non ricordarsi questo evento, ma poi sentitosi accusato da una figura autorevole come Ofshe, e avendo ormai accettato come vera l&#039;accusa delle figlie che altrimenti non riusciva a spiegarsi, incominciò a convincersi che anche quell&#039;accaduto in particolare fosse reale, e incominciò pian piano a ricordarselo nei minimi dettagli.<br /> Le figlie di Ingram in realtà erano due ragazze ossessionate dagli stupri, avevano già accusato altre persone. Una delle due figlie, Erika, in un ritiro pentecostale conobbe una ragazza che in quell&#039;ambiente si credeva avesse il dono della profezia. Questa disse ad Erika che suo padre aveva abusato di lei, Erika se ne convinse talmente fortemente che andò in psicanalisi.<br /> Erika e il suo terapista si influenzarono vicendevolmente, finché la terapia riuscì ad immettere i ricordi nella ragazza. Ricordi secondo i quali a 5 anni suo padre l&#039;avrebbe violentata.<br /> Purtroppo il caso di Paul Ingram non ha avuto un lieto fine: lo Stato di Washington non permette ritrattazioni delle proprie confessioni.</p> <p>Convinzioni<br /> Torniamo quindi al caso della Thompson, da cosa si creò il suo ricordo capace di incriminare un innocente e scagionare il colpevole? A confondere quel volto che a sentir lei non avrebbe mai dimenticato.<br /> Sicuramente vi è una concomitanza di motivi. E&#039; probabile che la Thompson fosse in una stanza poco illuminata o che non avesse una buona memoria fotografica e soprattutto non dimentichiamoci la situazione altamente traumatizzante e stressante che stava vivendo. E&#039; probabile che non avesse realmente un ricordo così vivido del suo stupratore, e che i poliziotti che l&#039;hanno interrogata l&#039;abbiano influenzata attraverso le loro convinzioni mentre le presentavano le foto di alcuni uomini più o meno corrispondenti alla sua descrizione.<br /> Il passo successivo probabilmente è stato che lei si sia convinta sempre più del proprio ricordo, in quanto continuava a ricostruirlo durante gli interrogatori, continuava quindi a vedere quel volto, che credeva di aver riconosciuto, su di lei a compiere quel terribile atto.<br /> Più le persone vengono sottoposte a interrogatori e migliore diventerà quello che credono essere un loro ricordo, più vivido, più convincente fino a diventare certezza.<br /> Una volta che la persona è convinta del suo ricordo, questa sua convinzione influisce sulla decisione finale della sentenza. Infatti è stato provato che se la persona sostiene di essere sicura al cento per cento di un suo ricordo, la sua ricostruzione dei fatti viene ritenuta più attendibile rispetto a quella di chi ha dichiarato di essere sicura al 75 per cento. Anche se in realtà è stato dimostrato che questa correlazione non solo non è reale, ma in alcuni esperimenti addirittura si è verificata una correlazione inversa.</p> <p>Ricordo e realtà<br /> Se non è la certezza della persona a essere buona predittrice della realtà dei fatti, allora cosa lo è?<br /> Ciò che davvero è proporzionalmente correlato all&#039;esattezza di un ricordo sono le circostanze ottimali in cui il fatto da ricordare si è svolto.<br /> Gli unici casi in cui i ricordi possono essere giudicati realmente attendibili sono quelli in cui si sono formati in un tempo sufficiente, sotto una buona illuminazione, in assenza di fattori stressanti e che non abbiano subìto interferenze o suggestioni postume.<br /> Questi ultimi due fattori, l&#039;assenza di fattori stressanti e l&#039;assenza di interferenze o suggestioni postume, sono quasi impossibili sia nelle confessioni che nei ricordi delle testimonianze di crimini.</p> </div></div></div><div class="field field-name-field-immagine field-type-image field-label-above"><div class="field-label">Immagine:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><img src="http://spaziopsichico.it/sites/default/files/jennifer-thompson-cannino-and-ronald-cotton.jpg" width="470" height="328" alt="" /></div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">Tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Thu, 04 Aug 2011 23:40:34 +0000 dalila 71 at http://spaziopsichico.it Ruoli e personaggi: le basi della personalità http://spaziopsichico.it/ruoli-e-personaggi <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><p>Diceva una canzone dei Beborn Beton (Nowhere), gruppo di nicchia del panorama dark-wave, “non c&#039;è fuga da se stessi” (There’s no escape from myself). Ma è poi vero? Davvero non possiamo scappare da noi stessi? </p> <p>Forse capire cosa voglia dire questo “noi stessi” potrebbe aiutarci a prenderne le distanze là dove questo fosse necessario o desiderato.<br /> L&#039;uomo è un animale sociale che nasce e si costruisce nel sociale: è fatto di ruoli, ovvero copioni scritti dalla società, e da personaggi, le maschere di cui può disporre una persona.<br /> Così nella nostra agenda sociale abbiamo segnati i nostri impegni, i nostri appuntamenti con i doveri e di conseguenza con i nostri ruoli; e nel nostro armadio mentale siamo pieni di maschere da poter utilizzare sia durante queste incombenze (più o meno gradite), sia quando spogliati dei ruoli, denudati dagli impegni, siamo solo noi con uno soltanto dei nostri personaggi, con una sola delle nostre maschere. Maschere che ognuno ha costruito a suo modo, partendo però dalle materie prime colte nella società.</p> <p>Differenze tra ruolo e personaggio<br /> Il ruolo fa binomio con dovere, dove il dovere sta nel tempo o nello spazio; ovvero devo fare, devo essere, ma anche il mio ruolo mi impone di fare e di essere; e laddove il ruolo sia stato scelto perché desiderabile, una volta scelto ha comunque dei doveri da assolvere in determinati momenti e in determinati spazi.<br /> Il personaggio invece fa binomio con volere: esso è più simile ad una scelta, e può godere di maggior libero arbitrio; ma attenzione a ciò che si vuole, chi troppo vuole alla fine deve! Citando la saggezza popolare: hai voluto la bicicletta e adesso devi pedalare. Certo si può sempre decidere di buttarla via, ma poi bisognerà trovare un altro mezzo per muoversi, in questo caso un altra maschera per presentarsi.<br /> In pratica il ruolo è quello che dobbiamo fare e quindi essere; mentre il personaggio è quello che vogliamo essere e quindi fare, dove il fare potrebbe arrivare a farci essere. </p> <p>Dal ruolo al personaggio<br /> Talvolta capita che un ruolo venga preso come spunto o come contesto per la rappresentazione di uno dei nostri personaggi, confondendoci a volte completamente (o quasi) con esso, soprattutto se è un ruolo che si è soliti interpretare, o che ci dà prestigio e/o gratificazione. Un uomo può essere entrato talmente a suo agio nel ruolo di psicoterapeuta, per esempio, da averci costruito un personaggio sopra: egli si sentirà, e si comporterà, come tale anche quando non si trovi nel suo studio con i suoi pazienti.<br /> Effettivamente per molte persone l’entrata nel mondo del lavoro coincide con l’importante cambio non solo di un ruolo, quello di lavoratore, ma anche di un personaggio, forgiato sul ruolo assolto. E’ possibile quindi che determinati ruoli nei quali ci si è trovati particolarmente a proprio agio, o dei quali si è diventati esperti, all&#039;occasione diventino dei propri personaggi.<br /> Allo stesso modo alcuni dei propri personaggi potranno trovarsi bene a muoversi nel contesto di uno dei propri ruoli.<br /> Forse è per questo motivo che molti lavoratori pensionabili fanno fatica a decidere di lasciare il loro lavoro, o cadono in una sorta di depressione una volta ottenuta la pensione: non è facile rinunciare ad un ruolo, quello di lavoratore, e non è facile rinunciare ad un contesto dove uno dei nostri personaggi abbia imparato a trovarsi a suo agio. Importante sarebbe infatti trovare un altro ruolo che riempia il vuoto lasciato dalla perdita del ruolo precedente e di tutto il suo mondo intorno.<br /> Ci sono dei ruoli che possono essere vestiti anche momentaneamente dando vita a personaggi fugaci, dai quali magari creeremo un precedente da cui trarre ispirazione nella continua ricerca di noi stessi. Se ad esempio un rapinatore ci punta una pistola alla testa, eccoci nell&#039;indesiderabile, ma momentaneo, ruolo di rapinato, questo ruolo avrà però una gamma di comportamenti disponibili, alcuni dettati dagli stereotipi sociali, alcuni dati dalla realtà che ci ha cresciuti; altri dalle convinzioni coltivate negli anni su come si dovrebbe reagire ad una tale situazione e altri ancora dovuti a convinzioni improvvise su quello che potrebbe succederci in quel momento, con quella determinata persona, che si trova nel ruolo di rapinatore. Come dire: la maschera usata durante la messa in scena del suo copione di rapinatore.<br /> La scelta finale potrà creare diversi tipi di personaggi: potremo urlare istericamente, personaggio isterico o speranzoso, dipende; potremo cercare di fare mosse alla Bruce Lee per provare a liberarci dalla spiacevole situazione, personaggio coraggioso o incosciente, dipende; potremo cercare di far ragionare in modo cristiano e tono caritatevole il nostro rapinatore, personaggio benpensante o ipocrita, dipende; o potremo, da brava vittima, ubbidire ciecamente ai suoi ordini, personaggio pauroso o ragionevole, come al solito dipende: dipende dal personaggio che abbiamo di fronte!<br /> Il nostro personaggio sarà dunque istigato da quello a noi di fronte, che a sua volta sarà in continua co-influenza con il nostro, eppure una volta messo in scena un determinato personaggio, anche se questo è un prodotto di un interscambio, noi penseremo di essere per buona parte ben rappresentati da quella maschera, la sentiremo come nostra e quando ci racconteremo agli altri e a noi stessi ci racconteremo come in parte fatti in quel modo.<br /> E anche gli altri ci descriveranno con quella nostra azione, anzi molto spesso accade di essere giudicati come il prodotto di una sola azione di uno dei nostri personaggi.</p> <p>Dal personaggio al ruolo<br /> Certo, anche i personaggi influenzano i ruoli. Anzi, come vedremo soprattutto nella seconda puntata, la maggior parte dei nostri personaggi ha il potere di crearli i ruoli, del resto non si può lasciare una maschera senza un copione in cui esprimersi.<br /> I personaggi hanno il potere di indirizzarci nella scelta dei ruoli da assumere: a lungo termine nella scelta ad esempio del lavoro, ma anche a breve termine il personaggio che stiamo assumendo in un certo momento ci indirizzerà su quale ruolo assolvere in quello stesso momento, o ci catapulterà in un ruolo sociale.<br /> Facciamo gli esempi di questi ultimi due casi, partiamo dal primo: siamo in metropolitana e scoppia un incendio nel nostro vagone ma proprio in quel momento il nostro personaggio si stava pavoneggiando di spavalderia e sicurezza, ahiahiai probabilmente per fare fede al nostro personaggio ora ci sentiremo obbligati a vestire i panni dell’eroe, prendendo in mano la situazione (o sarebbe meglio… l’estintore!), a meno che non decidiamo di cambiare improvvisamente personaggio, perché il gioco non vale la candela, vestendoci del personaggio, che avevamo nel cassetto, tutto fumo… e niente arrosto (beh, in questo caso speriamolo che non ci sia l&#039;arrosto!!!). Anche se fosse così avremo un modo tipico di comportarci che rispecchi il copione del… quacquaracquà.<br /> Passiamo al secondo esempio, quello in cui il personaggio vestito, la maschera indossata, ci faccia appioppare un ruolo dal sociale: stiamo entrando in un bar, per vincere la nostra insicurezza invece di parlare ci mettiamo ad urlare, è molto probabile che questo personaggio ci porti a indossare anche il ruolo della persona su cui spettegolare.</p> <p>L&#039;importanza del pubblico<br /> Sia nel ruolo che nel personaggio il pubblico ha quindi una parte essenziale.<br /> Nel ruolo la sua presenza si sentirà fortemente soprattutto se concreta, e lì dove il pubblico non ci fosse la rappresentazione sarà più scarsa, a meno che il ruolo non combaci con un personaggio. Per esempio un guardiano notturno quando non c’è nessuno che possa vederlo è probabile che farà più il guardiano della televisione che del suo stabile, a meno che non stia giocando col personaggio de “Il guardiano”.<br /> Per il personaggio invece il pubblico è come in agguato, o meglio diventa parte di sé, meno esigente ma sempre presente. Pensate al personaggio della ragazzaccia mascolina, se sola non si comporterà esageratamente da maschiaccio (non aggiungerà il ruolo al personaggio), ma comunque non sarà pizzi e fronzoli.<br /> L’assenza di pubblico non influirà su tutti i nostri ruoli: ve ne sono infatti di profondamente radicati, ovvero quelli che ci sono stati assegnati durante la socializzazione primaria (quelli di genere sessuale), che almeno in minima parte sono mantenuti anche in assenza di pubblico, in quanto il pubblico è come interiorizzato e le sue regole istituzionalizzate e anche quando il personaggio cozza con questi ruoli radicati, lo farà senza mai dimenticarsi questo suo ruolo impresso nell&#039;anima. Prendiamo il caso di un viados, così da restare nell&#039;esempio dei ruoli sessuali: il suo essere esageratamente donna (esageratamente per combattere il ruolo già radicato) è la traduzione dell&#039;essere esageratamente donna da un radicato punto di vista maschile.<br /> Fatta questa differenza dell&#039;importanza del pubblico per i ruoli e i personaggi, e all&#039;interno degli stessi ruoli, non bisogna dimenticare che i realtà, ruoli e personaggi sono in continua sovrapposizione, così come l&#039;importanza dei loro pubblici.</p> <p>La personalità<br /> E in tutto questo che ruolo ha la personalità? Quella fatalistica personalità di cui siamo composti?<br /> Le maschere e i copioni (personaggi e ruoli) sono creati dalle interazioni sociali: la personalità in pratica non esiste, o almeno non così come siamo abituati a pensarla. Essa non è il nostro componente essenziale, e di certo non è un componente immodificabile.<br /> La personalità è semplicemente ciò che il soggetto crede di percepire dall’interazione tra lui, il pubblico (realmente presente o ipotizzato) e la situazione.<br /> Sostiene Erving Goffman (sociologo canadese del Novecento): “siamo obbligati ad esibire un self non perché davvero l’abbiamo, ma perché la società ci obbliga a comportarci come se l’avessimo”</p> <p>Proprio sotto casa mia qualche anonimo ha scritto su un muro: “L’uomo scappa, ma la sua maschera lo insegue.” Ecco, quella maschera che insegue l’uomo in realtà è il suo copione, ovvero il ruolo che ha nella società. E aggiungo io: è l’uomo che a sua volta insegue una maschera.<br /> Quella maschera inseguita dall’uomo è proprio il personaggio.<br /> La personalità quindi potrebbe essere definita come un uomo inseguito da un copione, ma che insegue una maschera, la quale insegue a sua volta un altro copione che corre dietro l’uomo. Dico “potrebbe” perché in realtà questa è una semplificazione poiché di maschere e copioni ne abbiamo tanti, e ognuna di esse può arrivare ad avere altrettanti copioni e maschere, e purtroppo a volte ci dimentichiamo di poter risolvere alcuni nostri problemi semplicemente cambiando maschera o copione con cui giocare a rincorrerci.<br /> (fine della prima puntata)</p> </div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Thu, 04 Aug 2011 23:36:16 +0000 dalila 70 at http://spaziopsichico.it Ruoli e personaggi.Trappole e cambiamenti http://spaziopsichico.it/trappole-e-cambiamenti <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><p>Il personaggio rischia col tempo di insinuarsi e imporsi in noi, diventando lui il padrone del nostro essere e delle nostre azioni; allora sì che diventa difficile fuggire da se stessi.</p> <p>Interpretare un personaggio è una questione delicata, che spesso può diventare pericolosa, in quanto crea trappole intorno a noi che rischiano di non farci uscire così facilmente dalla nostra interpretazione. </p> <p>La trappola del personaggio<br /> Ci sono infatti alcuni personaggi che se interpretati, ci spingono in una spirale dalla quale diventa difficile saltare fuori.<br /> Poniamo il caso di un individuo che, per darsi un tono, incominci a sperimentare in pubblico un finto personaggio ubriacone e sbandato, personaggio che privatamente invece non si è ancora radicato. Questi nel suo perseverare rischierà che gli occhi del pubblico vengano portati anche nel privato, che il personaggio prenda sempre più spazio, finché gli venga appioppato il ruolo del disadattato del quartiere, quello ai quali le persone pensano per sentirsi un po&#039; migliori, quello che torna utile per aver qualcosa di cui parlare quando gli argomenti scarseggiano, quello che le donne compatiscono.<br /> A questo punto incomincerà a sentirsi in dovere di comportarsi come disadattato e probabilmente darà sempre più motivi per spettegolare su di lui, amplificando il circolo vizioso creatosi attorno. E&#039; probabile così che arrivi ad alzare il gomito anche in casa da solo e sempre più pesantemente, e farà questo non perché di reale indole disadattata, ma solo perché sentirà di dover fare così per sentirsi coerente con il personaggio, ormai ruolo, che si è dato e che gli è stato dato.<br /> La stessa cosa vale, talvolta, per quei ragazzi che fanno uso di sostanze stupefacenti, o per quelli che hanno deciso di farsi compatire per i loro problemi. Questi personaggi che si è scelto di interpretare, magari per scherzo o per sbaglio, spesso per arcane comodità o futili motivi, rischiano di intrappolare e di confondere il personaggio in un ruolo socialmente riconosciuto e accettato. E non dimentichiamoci che la società ha bisogno dei ruoli per creare un ordine.<br /> Abbiamo la possibilità di scegliere se interpretare un personaggio o un altro, ma il personaggio che sceglieremo ci farà sentire come se fossimo obbligati ad assumere determinati atteggiamenti in determinate situazioni, in determinati luoghi e in determinati momenti. Altrimenti ne andrebbe della nostra coerenza e questo accadrà soprattutto, e a volte irrimediabilmente, quando il nostro personaggio, esposto nel sociale, avrà avuto una collocazione, un suo ruolo.</p> <p>La ricerca della trappola<br /> Si è già detto (vedi la prima puntata correlata) come i personaggi, ma anche i ruoli a questi associati, si influenzino vicendevolmente: le persone imparano quali personaggi esterni corrispondono a determinati personaggi interni e viceversa. Così si arriva a evitare certi ambienti se ci rende conto che istigano in noi personaggi indesiderati, e a ricercarne altri che istighino personaggi da noi desiderati.<br /> Ma attenzione anche ai personaggi desiderati, alcuni di questi mettono in situazioni difficili dalle quali non solo è difficile uscire, ma alle quali, dopo diverso tempo che vengono messi in scena, diviene difficile rinunciare, anche quando portano sofferenza. Questo perché non possiamo permetterci di perdere la nostra coerenza, sarebbe ancor più sconvolgente di uno stato di sofferenza perpetuo; sarebbe come perdere la certezza che dopotutto esiste un “noi stessi”. Inoltre rinunciare ad un radicato personaggio sofferente vuol dire trovarsi a dover mettere in discussione se stessi e diversi anni della propria vita, sentendosi probabilmente spiacevolmente stupidi (quando in realtà ci si dovrebbe sentire molto intelligenti ad aver scoperto e debellato un errore o una sofferenza).<br /> Capita ancora più spesso che un personaggio sfugga completamente di mano e porti a situazioni sempre più spiacevoli o a interazioni estremizzate. Per fare un esempio, ogni coppia sentirà i personaggi che mette in atto nel proprio ambito come parti indispensabili dell’equilibrio.<br /> I personaggi diventeranno quindi ruoli della coppia, e i due partner agiranno per non perderli, sia che si tratti di ruoli positivi e desiderati, sia anche nel caso di ruoli negativi e sofferenti, questo perché perdere un ruolo rischia di far perdere la famosa coerenza, stavolta della coppia. Meglio perseverare nella stupidità per non sentirsi tali! E&#039; per questo che anche nel caso in cui si dovesse cambiare partner se ne cercherà un altro con personaggi altrettanto complementari, che possano reintrodurre il gioco di ruolo perduto, almeno finché non si deciderà che è finalmente arrivato il momento di abbandonare un determinato ruolo o un proprio personaggio. Sentirsi stupidi per quello che si è fatto nel passato è segno di grande intelligenza!<br /> E se quando si è in due a mettere in scena personaggi e ruoli complementari, l&#039;atto diviene più convincente, figuriamoci allora quando si è in tanti, come nel caso delle famiglie. Nelle famiglie capita spesso che una persona che provi a mettere in atto il personaggio del familiare problematico, si ritrovi ben presto in questo ruolo. E se il personaggio gode di maggior libero arbitrio, se in questo contesto viene trasformato in ruolo, bisognerebbe cambiare tutta l’interazione familiare. Dopotutto è più facile dare la colpa a qualcosa di innato, di esterno al proprio volere, piuttosto che a se stessi e alla propria capacità di scegliere e di essere responsabili.</p> <p>Il cambiamento<br /> Ruoli e personaggi continuano a venire in superficie in modo alternato, come la tastiera di un pianoforte, tasti bianchi e neri che continuano ad essere pressati (e pressanti) nella sinfonia della biografia individuale, continuando a confondersi tra di loro, come una complessa musica dove le note degli accordi si amalgamano; confondendo le persone e il loro pubblico. Ma che si tratti di personaggi semplici, o complicati, sia che essi siano già trasformati in ruoli, maschere e copioni, si possono cambiare o abbandonare in ogni momento.<br /> E&#039; logico che questo può portare ad un grande scompiglio nell&#039;individuo, nella sua coerenza, e nelle sue convinzioni su se stesso e sul suo mondo, ma spesso è necessario fare un passo talmente difficile da essere sconvolgente per poter maturare e prendere piena conoscenza di sé e di quello che si può essere o evitare. E&#039; vero, può rimanere una macchia, un alone, un ricordo, che potrà essere difficilmente contenuto davanti ad alcune persone conosciute col personaggio o il ruolo precedenti, ma la gestione della situazione dipenderà dalla nostra volontà che può incominciare a manifestarsi già solo dalla conoscenza di tali meccanismi e dal coraggio nel provare a modificare le variabili.<br /> Ruoli e personaggi che si sovrappongono e si ispirano vicendevolmente sono l&#039;espressione della nostra personalità, e se è vero che dal profondo si irradia la superficie, è anche vero che la superficie ha il potere di influire sulla nostra parte più profonda.<br /> Pascal diceva ai non credenti: “andate in chiesa, inginocchiatevi, pregate, onorate i sacramenti, comportatevi come se voi credeste. La fede non tarderà ad arrivare”.<br /> Dopotutto è la superficie quella che viene a contatto col nostro pubblico, da quello reale a quello immaginario, basterebbe dunque cambiarla, cambiando le nostre maschere e scegliendo diversi ruoli, così da poter scappare, se è quello che vogliamo, da quello che identifichiamo come “noi stessi”.<br /> (Seconda e ultima puntata)</p> </div></div></div><div class="field field-name-field-immagine field-type-image field-label-above"><div class="field-label">Immagine:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><img src="http://spaziopsichico.it/sites/default/files/dracula-bela-lugosi.jpg" width="500" height="632" alt="" /></div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">Tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Thu, 04 Aug 2011 23:29:58 +0000 dalila 69 at http://spaziopsichico.it Slot machines: uomini come piccioni, dal grano alla grana http://spaziopsichico.it/slot-machines <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><p>Quando una nonna si gioca i soldi per il regalo di compleanno della nipote con una slot-machine, quando si vedono operai bruciarsi l&#039;intero stipendio fino ad elemosinare, non per mangiare ma per continuare il gioco, non si può non chiedersi: ma perché? Il perché, in realtà, è semplice: siamo come i piccioni!</p> <p>Condizionamento operante<br /> No, non sono impazzita: partiamo dall&#039;inizio per capire questo paragone.<br /> Alla fine del XIX secolo Edward Lee Thorndike e Burrhus Skinner, psicologi statunitensi, intrapresero una serie di esperimenti per verificare come gli animali, uomini compresi, condizionassero i loro comportamenti a seconda di quello che riuscivano ad ottenere.<br /> Nacque così l&#039;idea di condizionamento operante, ovvero l&#039;apprendere determinati comportamenti che messi in atto operano sull&#039;ambiente eliminando punizioni o ricevendo rinforzi.<br /> In particolare, con riferimento ai rinforzi si studiarono i vari possibili programmi volti ad ottenerli.<br /> Si divise prima di tutto tra programmi di rinforzo continuo e programmi di rinforzo parziali; successivamente si approfondirono gli studi sui programmi di rinforzo parziali dividendoli in programmi a intervallo e programmi a rapporto, entrambi ulteriormente divisi in fissi e variabili. E in tutti questi studi si usarono proprio i piccioni.</p> <p>Skinner’s box<br /> Allora vediamo come funziona la testa di un piccione.<br /> Skinner fece degli esperimenti, mise dei piccioni in una scatola, la così detta Skinner&#039;s box, in questo box vi era un pulsante che se beccato dal piccione lasciava del grano da mangiare. Ovviamente all&#039;inizio il comportamento veniva messo in atto a caso, ma ben presto i piccioni imparavano che premendo il tasto ricevevano cibo, e così si dilettavano tranquillamente a ripetere continuamente l’azione. In questo tipo di programma a rinforzo continuo se il premio del grano veniva eliminato, ben presto il piccione estingueva il suo comportamento.</p> <p>I premi a intervalli fissi<br /> Più avanti si fecero dei nuovi esperimenti, questa volta a rinforzo parziale. Vennero messi dei piccioni in un box e il grano veniva dato solo ogni tanto; questo ogni tanto poteva essere riferito al tempo, cioè ogni 5 minuti (programma a intervallo fisso) o al numero di beccate, ad esempio ogni 5 (programma a rapporto fisso). I piccioni sottoposti ai programmi parziali beccavano la leva in continuazione per provocare l&#039;arrivo del grano, inoltre il loro comportamento era difficile da estinguere anche se si eliminava del tutto la ricompensa.<br /> Per l&#039;uomo in realtà sarebbe facile comprendere ogni quanto tempo o ogni quante pressioni di tasto arrivi il grano e quindi si otterrebbe ben presto, nel caso del programma a intervallo fisso, che la pressione avvenga solo nel momento in cui si è compreso essere quello propizio per l&#039;arrivo del grano; e nel caso del programma a rapporto fisso si rischierebbe una diminuzione del comportamento appreso tra una serie e l&#039;altra di pressioni; ma in realtà dopo un po&#039; anche i piccioni riescono a capire, se così si può dire, il trucco e il loro comportamento subisce della pause tra una ricompensa e l&#039;altra.</p> <p>Il trucco delle variabili<br /> Le cose invece si complicano quando a questi programmi parziali si aggiunge la variabilità, ovvero la ricompensa viene data a tempi variabili, o a numero di azioni variabili, senza uno schema ben preciso. Nel primo caso, il programma a intervalli variabili, non vi saranno più pause e il ritmo rimarrà elevato, ma uniforme. Nel secondo caso invece, il programma a rapporto variabile, non solo scompariranno le pause tra una messa in atto del comportamento e l&#039;altro, ma la frequenza aumenterà sempre più. </p> <p>La speranza del premio<br /> Il comportamento in questo caso diventerà quasi impossibile da estinguere, perché rimarrà una sorta di speranza. Addirittura si verifica un aumento nella frequenza del comportamento prima che cominci a scemare. Ma se, quando la curva comportamentale scende, ritorna un piccolo rinforzo, viene concesso cioè un piccolo premio, non solo il comportamento ripartirà, ma aumenterà notevolmente di frequenza anche rispetto alla fase precedente.</p> <p>Dai piccioni alle slot<br /> Ecco come si spiega il trucco delle macchinette: programmi a rapporto variabile, che condizionano la mente delle persone inducendole a mettere in atto un comportamento che non solo non si estinguerà, ma tenderà anche ad aumentare sempre più.<br /> Il fenomeno probabilmente non può neanche definirsi come una semplice droga: ricchi viziosi, poveri speranzosi, malviventi falliti o ingenuotti creduloni: non c’è differenza, si tratta di programmazione. Una programmazione mentale. </p> <p>Basta la vincita di un altro<br /> Così tra musichette e promesse di vittoria ecco come è nato questo dispendioso, spesso indebitante, comportamento capace di portare famiglie sul lastrico. E il motivo per cui si sta diffondendo in modi spesso allarmanti è che il condizionamento non avviene solo se si prova in prima persona: spesso vedere gli altri che vincono fa venire voglia di giocare.<br /> E’ vero che si impara dagli errori altrui... nel senso che impariamo a metterli in atto! Così anche se non si vince e non si hanno rinforzi, vedere che gli altri vincono, mantiene la programmazione.<br /> E così tutti in fila a beccare nei propri box quel pulsantino che fa uscire il grano ignari che gli esperimenti che hanno portato a questa programmazione sono derivati dalle brillanti menti dei piccioni.</p> <p>Dal grano alla grana<br /> Sarà mica un caso che da box distributori di grano si sia passati a box distributori di grana? Una cosa è certa: non se ne può dare la colpa a Skinner e tantomeno a... quei piccioni beccatori. Che, effettivamente, avevano solo da guadagnare e niente da perdere. Loro...</p> </div></div></div><div class="field field-name-field-immagine field-type-image field-label-above"><div class="field-label">Immagine:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><img src="http://spaziopsichico.it/sites/default/files/slot-machine-sala-giochi--fotogramma--324x230.jpg" width="324" height="230" alt="" /></div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">Tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Thu, 04 Aug 2011 23:05:03 +0000 dalila 67 at http://spaziopsichico.it Immagini abbaglianti: dopo la sostanza via anche la forma http://spaziopsichico.it/node/64 <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><p>Si è persa lo sostanza: in questo mondo di immagini in successione, di continue proiezioni superficiali sulla nostra retina, non si può che aver perso di vista la profondità di un mondo concreto anche se meno colorato; così la superficie si trova a nascondere tutto ciò che vi è dietro, il significato e l&#039;atmosfera.<br /> Si è persa la forma: non c’è più nemmeno la ricerca delle immagini, sono ormai le immagini che cercano noi, ci inseguono, sono ovunque e troppe per poterci permettere di soffermarci a guardare.<br /> Così come, ad esempio, si è persa l&#039;atmosfera della sera, ormai invasa da luci blu dei televisori, allo stesso tempo si è persa l&#039;atmosfera, se così si può chiamare, delle persone, delle singole persone, nascoste dalla loro superficie. Questa superficie che è diventata più facile e immediata da osservare, questa superficie confusa dall&#039;omologazione con le altre superfici, tutte uguali, tutte che pretendono l&#039;attenzione a scapito della personalità, sempre meno sviluppata perché solo un’appendice dietro la facciata superficiale.</p> <p>Ciechi nell’anima<br /> Per capire di cosa si sta parlando, si pensi per un attimo al Brasile; non serve esserci andati per sapere quante immagini e colori accolgono il turista per le vie del centro, e quanto invece sia triste e grigia la realtà nel profondo; a pochi metri dai turisti drogati di colori vi sono bambini drogati di colla; e tra le risate del turista sopraffatto dalle immagini di allegri balli, dietro l&#039;angolo si consumano orrori di violenza, di criminalità, di povertà. Una povertà che non conosce più neanche l&#039;acqua non per bere, ma per vivere; dove anche la malattia non risparmia chi non ha risparmi per acquistare medicine. In Brasile si muore nella fetida sofferenza, mentre mille colori ne nascondono l&#039;odore, troppo lontano, anche se in realtà così vicino.<br /> Le favelas, teatri di tragedie, hanno case multicolorate, e ingannano l’occhio con i mille colori.<br /> Lo stesso accade da ormai molto tempo in tutto il mondo. Le veloci immagini in movimento della televisione sono usate prima dai genitori per distrarre i bambini e poi dal “sistema” per distrarre i genitori.<br /> Nel passato l&#039;oppio dei popoli erano le religioni, nel mondo occidentale odierno l&#039;oppio sono le immagini, probabilmente visioni di nuovi dei.<br /> Oggi non ho tempo per ragionare su quello che accade nel mondo che mi trovo a vivere, c&#039;è un programma più interessante dei miei pensieri in televisione. Io invece volevo fare una ricerca, ma navigando mi sono perso tra mille canti di sirena mentre il tempo passava e senza rendermene conto oggi non ho più tempo per pensare, mi tocca rimandare ad un&#039;altra volta.<br /> Anche la notte ora fa fatica a portare consiglio, chi resta sveglio nel suo letto non è detto che stia pensando, sempre più spesso ha semplicemente i neuroni sovra stimolati dalle mille immagini virtuali e dalla luce blu, nostro nuovo Sole.<br /> Infatti le luci blu dei televisori, dei computer e dei videogames sono percepite dall&#039;occhio come simili alle luci del giorno, non permettendo al cervello di produrre melatonina, la quale si produce nelle ore serali e che aiuta a prendere sonno; questi bassi livelli di melatonina disturbano il sonno abbassandone la qualità.</p> <p>Ciechi nella mente<br /> Ma come si è arrivati a questo?<br /> Si è partiti da un mondo da scrutare e si è arrivati ad un mondo da captare. E&#039; finita l&#039;era delle esplorazioni e si è arrivati a quella dei curiosoni... ma per caso. E&#039; finito l&#039;approfondimento, la lettura è stata sostituita dallo sfogliare; del resto in un mondo nel quale si può raggiungere qualsiasi luogo con un click; qualsiasi informazione con il web, non vi è da stupirsi che sia passata la voglia di farsi domande: dove la risposta è troppo facile da ottenere non vi è più gusto a domandare. Siamo quindi nell&#039;epoca che scorre sulle superfici, troppo veloce per soffermarsi a riflettere, a guardare, a capire. In questa era le parole lasciano spazio alle immagini, le personalità lasciano spazio alle mode. Immagini veloci, come la moda, che non danno il tempo alla costruzione dei pensieri, alle costruzioni di mondi saldi interiori.<br /> In questo mare di figure e figurine fragili come la carta, in questo fiume di allucinazioni indotte e auto-indotte, tra mille corpi, luci e oggetti, non può che trovare terreno fertile il consumismo; mille consumi si desiderano, uno dopo l&#039;altro, senza riuscirne a capire realmente il motivo, senza riuscire a provare un vero desiderio per solo uno.<br /> E a questo consumistico desiderio indotto non può che accompagnarsi al materialismo: non riuscendo più a cogliere l&#039;anima delle cose l&#039;uomo si sofferma sul materiale.<br /> Ma anche il materialismo finisce per risentire della perdita di un vero desiderio: che senso ha risparmiare per comprare l&#039;oggetto dei propri sogni, se ora ve ne sono così tanti?</p> <p>Ritrovare la forma e la sostanza<br /> Non è da escludere che tutto ciò possa avere ripercussioni anche sulla nostra organizzazione neuronale e bisognerebbe domandarsi se adesso sarà possibile tornare indietro, se sarà possibile riorganizzare i nostri cervelli moderni; ma sicuramente quello che si potrebbe fare e perlomeno non aggravare la situazione, e provare a spegnere gli occhi per tornare a guardare.<br /> Così è forse negli altri sensi che si potrebbe trovare una soluzione? Provare ad ascoltare di più, provare a soffermarsi sugli odori, tornare a sentire i diversi sapori, e a non temere il tatto. Possibile ma difficile anche questa soluzione, perché purtroppo la fast-era sta mettendo in pericolo tutte le nostre sensazioni: ai suoni del paesaggio ha preferito l&#039;Ipod; gli odori della natura li ha prima smantellati per poi sostituirli con chimici fetori e artificiali olezzi; al sapore ruspante ha dato un goloso insapore e al tatto ha collegato malizie e orrore. E allora che fare?<br /> Da bambina mi chiedevo spesso se Beethoven sarebbe riuscito a comporre le sue musiche se avesse avuto uno radio, la risposta che mi sono data è: certo, se l&#039;avesse tenuta spenta.<br /> E allora spegniamo la radio, non solo per acutizzare l&#039;udito, ma per sentire le nostre canzoni. Andiamo alla ricerca di odori e sapori, non solo per diventare bravi nel loro riconoscimento, ma per riscoprire le sensazioni. E torniamo ad abbracciare non solo per sviluppare il tatto, ma per comprendere il significato di un vero abbraccio. Infine chiudiamo gli occhi, non solo per pensare, ma per tornare ad osservare tutto ciò che fa parte del nostro mondo.<br /> E lì dove siamo costretti a guardare non dimentichiamoci mai di pensare.</p> </div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Wed, 29 Jun 2011 21:09:44 +0000 dalila 64 at http://spaziopsichico.it Ruoli nella società http://spaziopsichico.it/ruoli-nella-societa <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><p>Il termine Ruolo deriva dalla parola latina rotulus che vuol dire copione. In psicologia il concetto di ruolo non differisce molto, infatti esso sta ad indicare quell&#039;insieme di caratteristiche e azioni che sono inerenti ad una persona in una determinata situazione o posizione, stabile o occasionale.<br /> E&#039; come un personaggio assegnato (o autoassegnato) ad un attore, con un copione per gran parte già scritto, con caratteristiche da rispettare e aspettative da non deludere.<br /> Ovviamente non esiste attore che abbia impersonato un solo ruolo nella propria vita, certo ci sono quelli preferiti o che riescono meglio, ma è impossibile passare da un film all&#039;altro o da una scena all&#039;altra della nostra vita, senza cambiare almeno in parte ruolo.<br /> Come ogni bravo attore dobbiamo dunque calarci al meglio nella parte. Questo non vorrà dire fingere di essere qualcosa che non si è, dopotutto siamo sempre noi l&#039;involucro del nostro personaggio, starà a noi interpretarlo e metterlo in scena, seguendo ciò che abbiamo inteso o voluto intendere per questa parte.<br /> Dunque il ruolo è una sorta di copione di cui dispone un individuo che si trova in una determinata posizione sociale, in un determinato contesto e in una determinata società; questo vuol dire che tale copione contiene le norme istituzionali e le aspettative a questo strettamente legate.<br /> L’uomo produce se stesso in una società che lo produce, cioè che gli dà le carte da utilizzare nell’esecuzione dei suoi ruoli; infatti essa dispone l&#039;individuo delle basi stereotipate dei diversi ruoli che in questa si possono assumere (sia come metterli in atto, sia come giudicarli), così che in ogni ruolo nel quale ci addentreremo, in un attimo troveremo un “abito” adatto a noi.<br /> Ed ecco che nell’eseguire il ruolo, qualsiasi individuo, anche il più controtendente, non potrà non tener conto del significato sociale che ha questo nella sua società, delle caratteristiche che in questo sono viste, della compatibilità con la situazione e/o le situazioni che gli si presentano, ecc.; infatti anche l’individuo che ha come immagine di sé quella dell’uomo libero, dovrà mettere in scena questo personaggio comportandosi nei modi in cui la società designa che si debbano comportare le persone che vestono questo ruolo.<br /> Nel bagaglio culturale di ogni società ci sono infatti già iscritte le norme per lo svolgimento dei ruoli, norme accessibili a tutti, comprensivi degli elementi comportamentali e affettivi adeguati ad ognuno di questi.<br /> In questo modo i ruoli uniscono gli individui fra loro, perché faranno sì che si parli un linguaggio comportamentale comune. Grazie a questo effetto coesivo si può sostenere che i ruoli siano la base delle società, e delle istituzioni che la compongono.<br /> Infatti l’individuo fa sua la cultura della società in cui vive, imparando a mettere in scena i ruoli da questa richiesti, ma la società stessa con le sue istituzioni è creata proprio dagli individui e dai loro ruoli.<br /> Così mentre nella socializzazione primaria, che si verifica nella prima infanzia, l&#039;individuo acquisisce le prime esperienze con un mondo già apparecchiato, nella socializzazione secondaria, si introduce nei nuovi settori della sua società, in maniera più attiva e cosciente: interiorizzando le istituzioni di cui farà parte, acquisendo le conoscenze legate ai vari ruoli (contenuti nella propria identità e con cui verrà a contatto) ma al tempo stesso portando a questi il suo contributo, attraverso gli stessi ruoli che si troverà ad interpretare.<br /> Quindi le istituzioni danno sì le norme per i ruoli, ma i ruoli costituiscono le istituzioni stesse.<br /> Durante la socializzazione secondaria, le conoscenze relative alle istituzioni faranno sì che l’individuo nell’eseguire un ruolo comunichi impressioni di se stesso compatibili con le qualità personali appropriate al ruolo e alla situazione, in quella determinata società. E al tempo stesso, sappia come giudicare i comportamenti delle altre persone, assegnando ad essi determinati ruoli. Inoltre acquisirà una tale conoscenza e saprà riconoscere i diversi ruoli che gli si presenteranno, con tutte le caratteristiche ad essi inclusi; riuscirà così a rendersi conto se determinati atteggiamenti sono consoni oppure no al ruolo che lui, o la persona a lui di fronte, sta mettendo in scena. A questo punto potrà confermare vecchi ruoli o iniziare il lungo processo che darà l&#039;avvio alle entrate di nuovi ruoli, nuovi copioni e di conseguenza nuove istituzioni. Detto questo si comprende come sia importante lo studio dei ruoli e dei loro cambiamenti per comprendere la società che è, che è stata e che sarà.</p> </div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Sun, 12 Jun 2011 16:15:12 +0000 dalila 41 at http://spaziopsichico.it Marce pericolose http://spaziopsichico.it/marce-pericolose <div class="field field-name-body field-type-text-with-summary field-label-hidden"><div class="field-items"><div class="field-item even"><p>La “marcia delle puttane”, questo nuovo movimento non può che far riflettere, e allora riflettiamo.<br /> Per cosa è nato questo movimento? Questo movimento è nato come diritto della donna di potersi spogliare liberamente senza dover rischiare di subire uno stupro.<br /> Certo lottare per i propri diritti è una cosa giusta, ma senza decontestualizzarci dal mondo in cui nolenti o dolenti viviamo. Non siamo nel paese di Alice, né in quello sognato da Tommaso Campanella. Quindi siamo sicuri che sia davvero giusto rivendicare il proprio diritto di non essere aggredite andando in giro mezze nude?<br /> Mi chiedo allora come mai non nasca anche un movimento popolare di protesta per coloro che vogliono riempirsi di preziosi anche nei quartieri più malfamati. Mi vengono in mente i quartieri spagnoli di Napoli, notoriamente pericolosi soprattutto per chi ostenta determinati gadget.<br /> Capita invece che il pavone di turno derubato del suo orologio d&#039;oro venga criticato dall&#039;opinione pubblica per essersi azzardato a fare bella mostra dei suoi averi in un luogo notoriamente sconsigliato per questa esibizione.<br /> E questa critica che gli viene fatta non è per giustificare lo scippatore o il borseggiatore che ha notato il luccichio, e che quindi non ha potuto trattenersi e farne a meno; ma viene fatta perché ci si chiede come sia possibile che dopo tutte le diverse brutte esperienze sul tal tema, ci siano ancora persone che tentano la fortuna o che sentano questo grande bisogno, o peggio abbiano un cuore talmente frivolo e superficiale, di doversi vestire del loro rolex a costo della loro incolumità.<br /> Allora propongo il movimento dei “riccastri tontoloni”, o degli “stupidi ma preziosi”, marciate per le strade e dichiarate il vostro diritto di riempirvi d&#039;oro dalla testa ai piedi e di camminare ovunque vogliate, chi sa forse riuscirete là dove la polizia non è riuscita, ovvero convincere i delinquenti a rispettare il vostro diritto di sfoggiare i vostri averi.<br /> E così forse anche questa slutwalk ovvero “marcia delle puttane”, come loro stesse si definiscono provocatoriamente, potrà convincere i vari “delinquenti del sesso” a rispettarle nonostante, anzi, grazie al loro mettere in mostra la mercanzia.<br /> Non si prenda un abbaglio, in questo articolo non si vuole affatto dire che i ladri di rolex o di corpi meritano un&#039;attenuante, niente può giustificarli; e niente può giustificare i magistrati che una volta dicono che la minigonna è istigatrice e la volta dopo che il “jeans” è mentitore.<br /> In questo articolo si vuole solo riflettere se sia il caso, in questo mondo, di invitare le ragazzine ad andare in giro mezze nude per far sentire i loro diritti, io temo che a rivolgersi a loro non saranno le orecchie né le menti, ma piuttosto qualcos&#039;altro.<br /> Insomma, per rivendicare il proprio diritto a non essere aggredite, e trattate appunto come prostitute, è davvero giusto andare in giro provocando pruriti? La verità è che in una società complessa, come quella moderna, non bisognerebbe mai perdere di vista il cosiddetto bilanciamento delle necessità.<br /> E&#039; vero che tutti noi abbiamo il diritto che la legge venga rispettata ad ogni condizione, certo è un diritto, ma purtroppo prevede tanti rovesci. Non consiglieremmo mai ad una giovane madre di lasciare il proprio figlio da solo al parco mentre si occupa di altre cose, eppure avrebbe anche lei ragione a pretendere “giù le mani da mio figlio con chiunque esso sia o non sia!”; e&#039; ovviamente non vi sarebbe giudice a dare attenuanti ad un pedofilo che è stato tratto in tentazione da un bambino lasciato incustodito.<br /> E allora proprio come alla giovane madre non viene consigliato di lasciare suo figlio alla mercé di tutti, anzi viene fortemente criticata nel caso lo facesse, critica che non nasconde un atteggiamento comprensivo nei confronti del carnefice; allo stesso modo bisognerebbe considerare da incoscienti il lasciare il proprio corpo alla mercé di tutti.<br /> Oltretutto vogliamo veramente paragonare potenziali violentatori ad uomini intelligenti che possano comprendere questo provocante messaggio dal verso giusto? Assolutamente no, questi possono essere più paragonati ad una piaga, ad un virus. Possono essere considerati più come degli individui malati socialmente (anche se qui non entrerò nel merito della questione fino in fondo). E avete mai sentito persone combattere i virus esponendosi ai rischi degli stessi? Facciamo un esempio più pratico così da comprenderci meglio, anche se può sembrare a primo sguardo semplicista o riduttivo; consideriamo una malattia fisica, come il raffreddore o l&#039;influenza, se rischio di ammalarmi o di aggravarmi, non farò di tutto per stuzzicarla maggiormente, quindi se ho l&#039;influenza mi coprirò meglio non andrò in giro mezzo nudo, altrimenti chiunque potrà dirmi che me la sono andata a cercare. Certo, l&#039;influenza non è grave come uno stupro, ma serve solo come esempio, e comunque non è un qualcosa di positivo, ma come definire chi la stuzzica apposta, rischiando anche di creare una sorta di epidemia, le malattie vanno sempre tenute a bada!<br /> In realtà proprio come ci si copre per non prendere l&#039;influenza, ci si dovrebbe coprire un pochino per non stuzzicare l&#039;altro virus, quello più micidiale, quello dello stupro. E&#039; vero l&#039;influenza ce la si può prendere lo stesso anche se non ci si scopre, così come anche in jeans si può subire uno stupro, in barba a quei magistrati che hanno sostenuto l&#039;inverso, ma perché aumentare il rischio.<br /> Si pensi che vi sono esperti che consigliano alle donne che sono in un ambiente a rischio di stupro, di conciarsi da brutte per evitare tali soprusi, e così suggeriscono ad esempio di mettersi cotone in bocca per sembrare deformi, esattamente come consigliano ai ricchi di conciarsi da poveri se passano per certi quartieri.<br /> Ovviamente non si vuole suggerire alle donne di scoprire il gusto dell&#039;orrido, ed è logico che ognuno è libero di vestirsi come vuole, ma attenzione alle conseguenze; se la polizia non riesce a tenere a bada gli stupratori, non credo proprio ci possa riuscire un movimento di donne mezze nude.<br /> Certo mi rendo conto che per questi movimenti giovanili fare i progressisti sembri divertente, e faccia anche moda e tendenza, ma il mondo reale è questo in cui esistono raffreddori e influenze, così come piaghe infinitamente peggiori quali gli scippatori e gli stupratori. Ai tempi della peste si stava attenti ad evitare il contatto con gli appestati, e adesso per le nostre pestilenze cosa facciamo? Ci esponiamo?<br /> Mi chiedo in realtà questo movimento cosa speri di ottenere oltre al divertimento di andare in giro a farsi un po&#039; guardare e speriamo non da virus.<br /> Io temo che l&#039;unica cosa che queste manifestanti riusciranno ad ottenere, non sarà di certo convincere gli uomini a non stuprare le donne svestite, ma sarà quello di giustificare ancora di più la voglia delle giovani leve di esibire il loro corpo nel falso slogan “guardare ma non toccare, ma soprattutto guardare, guardare, guardare!”<br /> Del resto si parla di ragazze in erba che stanno scoprendo, in tutti i sensi, la loro sessualità e stanno testando quello che riescono a provocare negli uomini, sperimentando anche fin dove sia possibile arrivare, spesso a loro spese. E invece di indirizzarle su come evitare le piaghe, le indirizziamo su come provocarle maggiormente, nascosti da un falso principio, la donna ha il diritto di vestirsi come vuole, o forse, la donna ha il diritto di eccitare come vuole?<br /> Del resto se la donna si veste in certi modi, non facciamo finta che non sia vero, ma è proprio per suscitare certi pruriti, capisco che li voglia provocare ma fino ad un certo punto, ma ormai è iniziata una specie di gara a chi eccita di più, e se molti uomini trovano questa super esibizione svogliante, chi sa che in altri non faccia invece aumentare i pruriti e chi sa tra questi dove si nasconda il virus, il malato.<br /> Fin da piccoli ci hanno insegnato a coprirci per non prendere il raffreddore o a nascondere i nostri preziosi in cassaforte così che non ce li portino via, e per dirla in una frase, fin da piccoli ci hanno insegnato a non giocare con il fuoco perché in fin dei conti potrebbe essere pericoloso. Ma cosa è successo ora? Gli insegnamenti hanno perso il loro valore? O forse non arrivano più, un po&#039; per l&#039;incapacità di farli arrivare, un po&#039; per la noncuranza verso di essi. E allora che dire? Va bene dai, siate libere di giocare, speriamo solo che non troppe finiscano col ritrovarsi bruciate.</p> </div></div></div><div class="field field-name-field-type field-type-taxonomy-term-reference field-label-above"><div class="field-label">tipo:&nbsp;</div><div class="field-items"><div class="field-item even"><a href="/articoli">articolo</a></div></div></div> Wed, 08 Jun 2011 12:28:47 +0000 dalila 38 at http://spaziopsichico.it